Alla fine del XVI secolo accanto alla produzione musicale polifonica si sviluppa il genere monodico da cui si origina l’opera. Genere sacro e profano cominciano a svilupparsi in maniera autonoma, e l’Italia vive una grande stagione di sperimentazione e di apertura con altri Paesi dell’Europa, tra cui la Germania e la Francia.
In questo contesto vivace e produttivo, si inserisce il discorso su un patrimonio che sembra a volte dimenticato pur essendo parte indiscussa della storia culturale del nostro Paese: la lirica.
Tradizionalmente l’invenzione dell’opera viene attribuita alla Camerata Fiorentina dei Bardi, agli inizi del Seicento. Tra i musicisti che facevano parte di questo gruppo vi erano Giulio Caccini e Jacopo Peri. L’espressione che definisce perfettamente queste sperimentazioni è quella del “recitar cantando”. In effetti, in questo momento si comincia a valorizzare lo stretto rapporto esistente tra musica e parola all’interno di composizioni che destano grande interesse, e che tendono anche a recuperare alcuni testi letterari di epoca precedente.
Come non citare “Dafne” o la famosa “Euridice” di Peri che mettono in scena tragedie di età classica? Certamente siamo ancora distanti dal concetto di opera lirica che si delinea in un momento successivo, e di fatto, non esisteva il cantante d’opera, e gli interpreti erano attori.
Nel corso del Seicento, ed esattamente nel 1637, cominciano ad essere attivi i teatri, luoghi importantissimi, in cui l’opera si apre all’esterno diventando popolare. Tra le figure protagoniste di questa stagione ci sono Claudio Monteverdi, Marco da Gagliano, Francesco Cavalli e Antonio Cesti.
Nel XVIII secolo invece vediamo all’opera Alessandro Scarlatti e Giovanni Battista Pergolesi. L’opera si diffonde nel resto dell’Europa e l’Italia è vista come una fucina attiva di produzioni musicali. Come non citare Antonio Vivaldi, compositore che ha dato vita a opere dallo stile inconfondibile come il noto “Orlando Furioso”?
Operisti buffi sono invece Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa. Le opere sono dinamiche, espressive, danno spazio alla psicologia e alla caratterizzazione del personaggio nelle situazioni esposte.
Alla fine del Settecento, l’epicentro della produzione operistica è invece Parigi. Piccinni, Salieri, Spontini e Cherubini vi lavorano molto spesso. Al contrario, l’Ottocento è il secolo del movimento romantico e questo fenomeno riveste con la sua forza espressiva tutti i campi della cultura e dell’arte. Il teatro è il palcoscenico dove vengono messe in scena storie in grado di toccare le delicate corde dello spirito umano. In questo momento sono scritte e prodotte alcune opere che sono rimaste impresse nella storia della musica e che oggi ci rendono conosciuti anche a km di distanza. Gioacchino Rossini col suo “Il barbiere di Siviglia”, Nicola Vaccai con la sua “Giulietta e Romeo”, ma soprattutto Vincenzo Bellini con “La norma”, “La sonnambula”, Gaetano Donizetti con “Anna Bolena” o “L’elisir d’amore”, Giuseppe Verdi con “Il rigoletto”, “Otello”, “Don Carlos”, “I vespri siciliani”, “Aida” e “Falstaff” sono alcuni dei titoli più significativi.
L’orchestra ha un ruolo importante, sostiene il cantato, che resta protagonista indiscusso della lirica. Siamo lontani dai primi esperimenti e ormai la parola è cantata in ogni sua manifestazione.
Nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento non si può non citare poi Giacomo Puccinni. Come non restare incantati dalle note della celebre aria “Un bel dì vedremo” cantata dalla Madama Butterfly nell’omonima opera? Queste e altre arie, sono note a tutti, anche se in un primo momento non ci sembra di ricordare chi le abbia scritte esattamente e quando. Ogni periodo storico possiede la sua ricchezza culturale, anche quando sembra essere espressione di crisi e incertezza, eppure, ogni momento ha lasciato una traccia indelebile nella storia della musica. La lirica è ancora viva, e occorrerebbe forse, educare alla sua natura, alla sua importanza, alla sua valenza di patrimonio culturale prima di cedere ai facili richiami di nazionalismi improvvisati a cui assistiamo spesso da inermi spettatori davanti alla tv.