Gli studenti dei vari corsi di teatro e drammaturgia dovrebbero partire dallo studio del genio di Aristofane e della commedia greca
La commedia greca nasce prima della tragedia e Aristotele la associa nella Poetica ai rituali che venivano praticati in stato di ebrezza al dio Dionisio (il Bacco romano) in specifiche festività.
Epicarmo, Aristofane e Menandro furono i commediografi di massimo spicco dell’epoca, ma è il secondo dei tre quello di cui si è pervenuta la più grande quantità di opere (più di una decina). La commedia ebbe il suo massimo splendore a cavallo tra il V e il IV secolo a.C. e lo scopo era di suscitare il riso attraverso la messa in scena di situazioni buffe e controverse.
L’innovazione stava soprattutto nel fatto che le storie dei protagonisti erano le vite del ceto medio, dei contadini e dei borghesi.
Gli argomenti trattati sono talvolta utopici: in Le Vespe, Aristofane ad esempio parla di una politica corrotta e la speranza di un cambiamento imminente; in La Pace si parla della fine del conflitto del Peloponneso.
Le prime rappresentazioni avevano luogo nel classico teatro greco che era caratterizzato per lo più da una pianta semicircolare dove gli spettatori sedevano su dei gradini di legno (Non molto differente dalla romana Cave Parco della musica).
Alcuni archeologi e storici ritengono che l’ubicazione sia quella dell’attuale Acropoli ateniese.
Ogni commedia seguiva un determinato andamento cronologico che si articolava come segue: prologo, l’entrata del coro, la lotta, l’intervento del capo coro, la vittoria dell’eroe protagonista e l’uscita del coro.
Analizziamo ogni sequenza in dettaglio.
- PROLOGO: si trattava di una premessa nella quale veniva raccontata la storia dell’eroe che presto avrebbe fatto il suo ingresso sulla scena.
- IL CORO: si presentava con coreografie danzate, spesso anche divertenti, accompagnate da canti che producevano non poca ilarità.
- LOTTA: per lo più era uno scontro buffo, dove il protagonista si azzuffava con i suoi avversari e ne usciva vincitore. Le maschere qui giocavano un ruolo fondamentale perché avevano chiari rimandi a lineamenti di popoli che erano stati sconfitti dagli stessi greci e le caricature avvaloravano o deridevano l’andamento delle attuali politiche.
- INGRESSO DEL CORIFEO: il capo coro pronunciava un discorso di elogio all’autore della commedia e svolgeva quello che in seguito venne definito metateatro. Il pubblico, cioè, veniva coinvolto direttamente nella vicenda teatrale. Questa caratteristica fu ripresa anche nella Tragedia con un fine catartico. La catarsi è quel processo che spinge lo spettatore ad esaminare se stesso; è un’educazione di vita a comportamenti moralmente corretti (se un eroe moriva per uno sbaglio o un peccato – anche se nella terminologia greca “peccato” non aveva la stessa connotazione di quella cristiana – il pubblico era portato a non rifare lo stesso errore per non cadere nella condanna rappresentata).
- LA VITTORIA DELL’EROE: segnava l’apoteosi dell’opera, ma non veniva rappresentata in modo straordinario perché, lo ricordiamo, lo scopo era la risata.
- USCITA DEL CORO: la conclusione della Commedia si espletava con l’uscita del coro dalla scena, dopo che il protagonista aveva dato prova del suo “valore” e delle sue virtù.
I DISCORSI E LA SCENA
I commediografi non si risparmiavano linguaggi osceni e maliziosi. Oggetti ambigui venivano utilizzati in abbondanza e i personaggi spiegavano l’impiego della strumentazione da scena. Ad esempio, in Aristofane Trigeo era consapevole che la sua vita dipendesse dalle precarie attenzioni di colui che guidava la gru e che lo teneva in elevazione dal terreno – Trigeo catturava l’attenzione degli spettatori in un’esecuzione divertente e drammatica al tempo stesso, rendendoli attivi all’espletamento della funzione del macchinario.
Ecco, allora, che il teatro diventava promozione culturale e teorica anche (e soprattutto) per il popolo non aristocratico.
IL GRANDE COMMEDIOGRAFO
Aristofane (V-IV secolo a.C.), vivendo sotto la guerra del Peloponneso, nonostante non partecipasse attivamente alla vita politica, incentrò gran parte delle sue opere nel desiderio utopico di una pace tra Sparta ed Atene. Acarnesi e La Pace viaggiano su questo sfondo.
Una delle commedie più importanti è senz’altro Gli Uccelli, dove ritorna il tema del vivere lontani dai conflitti e guerre: il titolo dell’opera si lega alla descrizione di una città sospesa nell’aria, governata da due compagni (il nome di uno è Pistetero che, tradotto dal greco, significa “Spera bene” a sottolineare nuovamente l’impossibilità del realizzarsi di un sogno di pace e serenità).
In Aristofane si ritrova il succo stesso della commedia: la parodia.
Ad esprimere questo concetto sono in particolar modo due opere: Le Tesmoforiazuse e Le Rane. In entrambe il commediografo cerca di ridicolizzare Euripide, ma se nella prima lo fa denunciando la sua misoginia, nella seconda lo subordina ad Eschilo.
Aristofane, nel complesso, è ritenuto il più innovativo della sua epoca perché, quando la commedia sbocciava, lui ne raffigurava l’avanguardia.
Intorno al 392 a.C. lanciò la rappresentazione che si intitolava “Le donne al parlamento” con elementi, sì, comici ma altrettanto sbalorditivi e per questo originali. La vicenda è portata avanti da un gruppo di donne che hanno la pretesa di salire al potere, ma tutto cambia quando l’ambizione diventa fatto reale.
Le donne decidono di spartire ogni tipo di bene, dalle cose materiali alle bestie.
Il fatto che il sesso femminile fosse il protagonista era un evento unico e lo stupore che ne conseguì fu abbastanza comprensibile.
La fama di Aristofane, insomma, fu direttamente proporzionale alle critiche che lo colpirono per le il suo carattere provocatorio. Non furono poche le denunce che ricevette per la propaganda che intelligentemente portava avanti e in diverse occasioni si trovò davvero alle strette.
Ma quale più grande soddisfazione poteva essere data a colui che trovava diletto nel far scomporre gli animi altrui con una mirata satira?
Di tutta risposta, Aristofane fu imperterrito e assolutamente irremovibile nella sua posizione.
In sintesi, possiamo dire che fu inimitabile nel suo genere e spianò la strada a carriere come quella di Menandro.
La Commedia non conobbe più un artista di questo calibro, disposto a tutto pur di denunciare la politica corrotta che mai l’avrebbe comprato e soggiogato.
Aristofane:
Bevendo gli uomini migliorano: fanno buoni affari, vincono le cause, sono felici e sostengono gli amici