Rispolverando le nostre conoscenze di letteratura italiana, sicuramente a molti di noi tornerà alla mente la commedia dell’arte, con le sue numerose e caratteristiche “maschere”.
Con il termine “commedia dell’arte” si fa riferimento ad un genere teatrale nato in Italia intorno al XVI secolo, periodo particolarmente florido per la cultura del nostro Paese, soprattutto grazie alle innovazioni introdotte dal celebre Carlo Goldoni.
Il grande merito del drammaturgo veneziano è senza dubbio quello di essere riuscito a tagliare i ponti con l’antica tradizione teatrale italiana, che ormai non era più in grado di uscire dal contesto rinascimentale dei secoli precedenti. Parliamo di una tradizione che riscosse un grande successo sin dai primi anni del Cinquecento, grazie all’introduzione di testi e tematiche provenienti dagli ambienti più colti della civiltà umanistica del periodo.
Fu proprio durante il Rinascimento, infatti, che molte opere latine e greche furono riportate in auge, prime fra tutte quelle dei più grandi drammaturghi e commediografi dell’epoca antica, come Plauto, Terenzio, Seneca, Aristofane, per citarne alcuni. Fu in questo ambiente che nacquero alcune opere teatrali molto importanti per la cultura umanistica, prima fra tutte “La mandragola” (1518) di Machiavelli.
Nell’ambito della commedia, nel senso puro del termine, con il passare degli anni, lo spettatore cominciò ad avvertire l’esigenza di tagliare i ponti con gli schemi classici, per cui è facile immaginare come alcune tematiche più trasgressive, come quelle delle opere di Machiavelli o “Il Candelaio” (1582) di Giordano Bruno, riuscirono a riscuotere un grande successo.
Verso la fine del Cinquecento, infatti, questa voglia di cambiamento da parte del pubblico italiano si fa sempre più forte, incentivata ulteriormente dalle decisioni politiche dell’epoca di ammorbidire i toni colti, eruditi e socialmente impegnati tipici del teatro rinascimentale.
Ecco, quindi, che cominciano a farsi strada tutte quelle figure che avevano rappresentato l’elemento chiave dell’intrattenimento dell’uomo medievale, come i tradizionali menestrelli e saltimbanchi, che prendono di nuovo vita dalle sapienti penne dei drammaturghi e commediografi vissuti dal XVI secolo in poi.
Le famiglie più ricche si appassionano sempre di più al “nuovo” teatro, tanto da finanziare la costruzione di sale private adibite proprio alla messa in scena di spettacoli a pagamento, per la prima volta nella storia. Una delle novità più eclatanti rimane sicuramente l’accesso ad un pubblico decisamente variegato, che poteva includere senza problemi anche i ceti meno abbienti, a patto che potessero permettersi il costo del biglietto.
Gli artisti di strada, tipici del Medioevo, si riuniscono in compagnie, iniziando ad esibirsi al coperto, introducendo una delle innovazioni più importanti: l’improvvisazione.
Il taglio netto con l’epoca precedente è rappresentato, infatti, soprattutto sulla mancanza di un copione scritto, che gli attori professionisti avrebbero dovuto seguire alla lettera. Nella nuova commedia non c’è più spazio per tutto ciò che è formale ed impostato, per cui viene introdotto il cosiddetto “canovaccio”, un abbozzo di copione, contenente solo l’elenco dei personaggi ed una trama indicativa. Agli attori, quindi, spettava il compito di districare la matassa della storia, nel corso della recitazione, inventando sul momento i testi dello spettacolo.