Segue da La commedia dell’arte – 1° parte
I ruoli interpretati dagli attori erano sicuramente poco variegati, tanto che divenne facile raggrupparli nelle cosiddette “maschere” o “tipi fissi”, ognuna con dei tratti caratteriali ben precisi. Parliamo, per esempio, di Arlecchino, servo imbroglione, di Balanzone, il dotto saccente e serioso, di Colombina, la servetta scaltra e maliziosa, così come di Pulcinella, il servo malinconico della tradizione napoletana.
I personaggi incarnati dalle maschere raffiguravano le principali tipologie presenti nella società italiana di quel periodo. La conoscenza di Balanzone, il denaro di Pantalone, la vanità di Rosaura e la scaltrezza di Colombina non sono altro che l’incarnazione dei principali vizi e virtù dell’uomo cinquecentesco. Probabilmente, quindi, la ragione del successo della commedia dell’arte è dovuta proprio al fatto che lo spettatore riusciva perfettamente a ritrovarsi e rivedersi sul palcoscenico, cosa che non si poteva più dire delle opere classiche.
Tuttavia, con il passare degli anni, la commedia dell’arte subì una crisi, vincolata proprio a questo aspetto. La società seicentesca cominciava a cambiare, distanziandosi sempre di più dai ruoli rappresentati sui palcoscenici nel Cinquecento. Ed ecco, quindi, che lo spettatore non riusciva più a trovare un nesso tra la vita reale e quella raffigurata in teatro. Le maschere subiscono così una perdita di valore, destinate a diventare semplici mezzi per strappare risate attraverso la banalità e la volgarità dei testi.
È in questo scenario che, molti anni dopo, approderà Carlo Goldoni, uno dei più grandi autori della cultura teatrale italiana. Il merito più grande del drammaturgo è sicuramente quello di essere riuscito a dare dei contorni ben precisi alla commedia dell’arte, introducendo la cosiddetta Riforma del Teatro. Nata nel 1736 con “Momolo cortesan”, del quale scrisse solo la parte principale del protagonista, e perfezionata nel corso delle opere più mature, la riforma introdotta da Goldoni si prefiggeva alcuni obiettivi fondamentali.
Il pubblico vuole rivedere se stesso e la realtà che lo circonda nelle opere portate in scena, per cui il primo aspetto da modificare era sicuramente quello di tagliare i ponti con le tragedie, i melodrammi e persino con la commedia dell’arte delle origini, attualizzandola in base alla società moderna.
Il canovaccio si arricchisce di maggiori informazioni, con un copione scritto per i ruoli di spicco e poche indicazioni per i personaggi minori, che potevano continuare a basarsi sull’improvvisazione.
I tipi fissi, che fino ad allora continuavano ad indossare i costumi e le maschere tipiche, si spogliano letteralmente. Il pubblico conosce bene quali siano i tratti distintivi di ogni personaggio, per cui è perfettamente in grado di individuarli anche senza il costume caratteristico.
Allo stesso tempo, le tematiche e i dialoghi si fanno più verosimili e aderenti alla realtà, evitando le trame stereotipate ereditate da ben due secoli di commedia, e portando in scena vicende più realistiche e, se vogliamo, più complesse.
La lingua dei testi non si basa più su un miscuglio eterogeneo di italiano e dialetti di varia provenienza, ma l’autore e gli attori devono decidere sin dall’inizio se adottare la lingua italiana o un unico dialetto, da seguire dall’inizio alla fine dello spettacolo.
In ogni caso, è interessante osservare come ognuna delle figure rappresentate dalla maschere è riuscita ad arrivare quasi inalterata fino ai giorni nostri, mantenendo inalterate persino le proprie origini, diventando il personaggio ufficiale e caratteristico della regione di provenienza. Simbolo, questo, del fatto che la commedia dell’arte è riuscita a tutti gli effetti a lasciare un segno indelebile nella nostra cultura.