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PER UNA POETICA DEL CORO IN “A CHORUS LINE”

Premessa

L’articolo di oggi fa parte di quella categoria di nostri contributi che noi abbiamo chiamato “Gli approfondimenti dello IIAD”. Si tratta di articoli che vanno a trattare in profondità una tematica, con un taglio solitamente molto tecnico, e che sono a volte di non facile lettura, soprattutto per i non addetti al settore. Con questo però non voglio scoraggiarti dalla lettura di questa interessantissima disamina incentrata su quello che potremmo tranquillamente chiamare il musical dei musical: A Chorus Line.

Se ti trovi su questa pagina del resto, è molto probabile che tu sia un performer con alle spalle anni di studio in una scuola di musical. O perlomeno è probabile, anche se non fossi un ballerino professionista, che tu abbia frequentato qualche corso di musical, o ancora pur non avendo studiato musical che tu abbia frequentato una scuola di danza. Naturalmente è pur vero che a leggerci possa essere non un performer, ma un esperto/cultore della materia o anche un critico della danza. Chiunque tu sia saremo felici di ricevere i tuoi commenti se vorrai farli.

Direi di chiudere questa breve premessa per presentarvi l’approfondimento. Buona lettura!

PER UNA POETICA DEL CORO IN “A CHORUS LINE”

 

“Voglio vedere la danza all’unisono, teste e braccia e ogni parte del corpo come fossero una sola. Accetto solo un allineamento perfetto.”

(Michael Douglas as Zach in Chorus Line)

1. La storia

A Chorus Line rappresenta il punto d’arrivo e l’esempio massimo non solo dello show on show ma della poetica del coro, consacrandosene come il picco antologico e ontologico. In centinaia di film, a cominciare da 42th Street (Quarantaduesima Strada) che costituisce uno degli illustri precedenti, la selezione di ballerini è stata uno degli ingredienti narrativi, ma mai come in questo caso l’elemento unico e portante su cui costruire la storia della formazione di un coro.

Musical teatrale di Michael Bennet, regista e coreografo, tratto dal libro di James Kirkwood e Nicholas Dante, con le musiche di Marvin Hamlisch e i testi di Edward Kleban, fu portato in scena al Public Theatre nel 1975, poi trasferito allo Shubert Theatre e tenuto in cartellone per 15 anni ininterrottamente per un totale di 6137 repliche, intrattenendo 6.642.400 spettatori. Da allora ha vinto 10 Tony® Award, il prestigioso premio annuale per i successi teatrali statunitensi, includendo il Tony® Award Speciale per essere stato lo spettacolo rimasto più a lungo in cartellone nella storia di Broadway (almeno fino al ’97 quando fu scalzato da Cats e quest’ultimo a sua volta da Il fantasma dell’opera) e altri numerosi premi, tra cui il Pulitzer per la Drammaturgia. L’idea è nata registrando vari workshops con ballerini di Broadway, 8 dei quali entrarono a far parte del cast originale.

Poster originale del musical a chorus line
Locandina originale del musical

Ci sono voluti dieci anni per concretizzare l’idea della trasposizione cinematografica e diverse settimane per scegliere fra i 3200 candidati i 120 che danzeranno la sequenza di apertura e il finale e naturalmente i 16 che faranno parte dell’agognata chorus line, tecnicamente “linea di scena”, quel lungo segno bianco tracciato sul pavimento per separare il corpo di ballo dai danzatori solisti. Le selezioni sono state effettuate partendo dal requisito fondamentale della competenza e della professionalità nella capacità di ballare. I ballerini che emergevano particolarmente passavano alla successiva audizione del canto e della recitazione.
Per la versione filmica, inizialmente, erano previste delle riprese in esterno, ma Richard Attenborough, il regista, si rese conto che sarebbe potuto essere un grave errore: così il film si svolge in un unico ambiente, tranne qualche flashback per far comprendere il rapporto sentimentale che lega il regista dello show, Zach (interpretato con fermezza da Michael Douglas), con una ballerina solista che, essendo disoccupata, vuole concorrere per uno di quei posti di fila.
Le immagini d’apertura, che permettono di contestualizzare la vicenda, sono delle belle riprese aeree di Manhattan (una citazione e un omaggio alla sequenza iniziale di West Side Story) che terminano sulla lunga fila di gypsies, come in gergo sono chiamati a Broadway i ballerini, impazienti di sostenere l’audizione in corso al teatro.

A Chorus Line – L’audizione

 

 

All’interno, nella penombra, Zach osserva, annota, si fa un’idea. Sedici i prescelti. Adesso non sarà più l’agilità, la destrezza, la bravura di danzare, ma la franchezza di esporsi, di parlare di sé, la prova a cui Zach li sottopone: ciò che emerge sono vere e proprie tranches de vie, spaccati di vita, indigenza, marginalità e il sogno di farcela e già il sognare riscatta ogni miseria. Ma dai sedici inizialmente scelti, solo la metà verrà ingaggiata. Chi chiamerà Zach? E’ un momento di estrema tensione, ma gli otto chiamati, che faranno il passo avanti, saranno gli scartati.

Questo musical contiene qualcosa di estremamente toccante che ha a che fare con la giovinezza, l’onnipotenza, la frustrazione e l’umiliazione ma soprattutto con il concetto di volontà!

2. La struttura

La struttura del film procede secondo una costruzione per blocchi narrativi progressivamente maggiori (la lunga fila che attende fuori dal teatro, i provini di massa, la selezione dei sedici, la storia tra Zach e Cassie, parallela alla scena principale) per sfociare nella lunga sequenza (che poi è il corpo del film) in cui ognuno dei sedici viene invitato ad aprirsi, farsi conoscere, manifestare il proprio carattere. Ballerini di fila per uno show! Per fare coro è necessario metter su questa sorta di psicodramma? Ecco la differenza tra A Chorus Line e gli altri film sul backstage. A Chorus Line sviluppa il substrato ontologico del coro, i meccanismi di cernita fra chi può farne parte e chi no, la sua funzione che non è quella di aggregare indistintamente individui, ma di creare un gruppo di lavoro, armonico al suo interno. Come lo ebbe a definire Kurt Lewin, un famoso psicologo sociale,

“il gruppo è qualcosa di più o, per meglio dire, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Esso può definirsi una totalità dinamica”.¹

In psicologia si distinguono il gruppo primario (caratterizzato da una associazione e cooperazione intime, elettive) e il gruppo secondario (più numeroso, contraddistinto da più deboli sentimenti di appartenenza). Il coro di A Chorus Line rientra inizialmente nella seconda accezione, perché si forma partendo da un criterio selettivo superiore (quello del regista). Va visto anche come “gruppo di lavoro” che funziona quando si stabilisce una

“integrazione e una reciproca compensazione, in base alle particolari prerogative – positive e negative – di ognuno. Tuttavia, per riuscire a valorizzare i punti di forza e minimizzare le debolezze di ciascuno, sono indispensabili grande autodisciplina e spirito di corpo. Tutti i componenti, perciò, devono fidarsi e stimarsi reciprocamente e scambiarsi di continuo le informazioni necessarie senza aspettare che vengano comunicate dal capo come negli altri modelli organizzativi”.²

Il capo cerca di aiutare i suoi collaboratori ad ottenere le risorse per svolgere il loro lavoro, a risolvere problemi professionali e personali, a incoraggiare il loro potenziale, Ma, nello stesso tempo, (valgono le considerazioni di Consonni sulla direzione musicale di un coro)

“il direttore di coro, fra le doti indispensabili, deve avere la capacità di imporsi: (…) perché il coro [nella sua fase iniziale (n.d.r.)] è piuttosto freddo e pesante, quindi bisognoso di essere sostenuto dallo slancio di chi lo guida. (…) Il direttore deve improntare il suo lavoro di preparazione corale ad un’assoluta serietà, mediante l’impiego di una severa autodisciplina. Egli deve controllarsi continuamente e scrupolosamente affinché non possa mai essere sospettato di incertezza, di trascuratezza, né considerato un mestierante, invece che un artista appassionato”.³

Zach / leader / psicologo conduce questa dinamica di gruppo. E’ il personaggio di un regista che mostra una certa insensibilità e freddezza ascoltando le esperienze di vita dei gypsies. Un carattere molto difficile da interpretare che deve riuscire a scegliere le personalità in grado di formare il coro. Michael Douglas, per dare aderenza al suo ruolo, pur comportandosi amichevolmente con tutto il cast, ha dovuto mantenere, per tutto il tempo di ripresa, un distacco emotivo, professionale e fisico dalla “linea”.

3. I personaggi

Il primo passo di questo processo è la definizione delle individualità dei singoli ballerini. Zach li interpella uno alla volta.

1. Mike

Mike danza e canta I can do that in cui racconta di quando cominciò a ballare. Tra lui e la sorella, la madre decise che toccava alla bambina frequentare la scuola di danza, ma un giorno che lei non vi andò Michael prese il suo posto e magicamente i suoi piedi, indossando le scarpette della sorella, presero a ballare. La sua scatenata performance mischia arti marziali, acrobazie e mosse da clown. Attira a sé Richie per fargli da spalla nella tap dance. Dà vita a un personaggio spettacolare, difficile da imitare.

Charles McGowan as Mike in I can do that

 

2. Bobby

Bobby parla dei genitori e della sua personalità che definisce bizzarra, strana, come reazione alle mancate attenzioni da parte della famiglia nei suoi confronti. Iscritto all’Athletic School non riusciva a tenere una palla in mano ed era deriso da tutti. Così pensava a qualche modo intelligente di togliersi la vita. Il suo racconto mantiene sempre un tono sardonico e il fatto di stare su quel palco è già una rivincita.

3. Sheila

Sheila è la più anziana del gruppo e alle domande di Zach oppone una resistenza difensiva sviando il discorso su di lei. E’ un personaggio che, nonostante la strafottenza, cela una particolare vulnerabilità dovuta a un’infanzia problematica che trovava in Scarpette rosse e nei balletti un mondo bellissimo.

Uomini eleganti sollevavano
belle ragazze in bianco
sì, tutto era bellissimo ai balletti
ehi, ero felice ai balletti…

come canta in At the ballet. La stessa canzone è continuata da…

4. Bebe

Questo è un personaggio con complessi di inferiorità dovuti a crisi adolescenziali. Non era bella ma differente, un tipo. La madre le diceva che sarebbe diventata attraente, ma lei non riusciva ad accettarsi. Solo ai balletti tutti sono belli…

ogni principe deve avere il suo cigno
sì, tutti sono belli ai balletti.
Io mi sentivo carina…
…ai balletti.

5. Maggie

Maggie conclude At the ballet e la sua voce si sovrappone nel refrain a quella delle altre due. Maggie è come la ragazza della porta accanto, molto dolce e innocente. Risente di tante difficoltà, ma è molto forte. Nacque per tenere uniti i genitori, ma il padre si rese conto che era stato un errore. Nella sua fantasia Maggie danzava felice insieme col padre.

Sì, tutto è bello ai balletti
E io amerei…

Vicki Frederick as Sheila, Michelle Johnston as Bebe, Pam Klinger in At The Ballet

6. Kristine

Kristine è giovanissima e molto nervosa. E’ sposata con Al che le suggerisce continuamente cosa dire di sé a Zach. Non riesce a finire un discorso e il regista la invita a rientrare nella fila.

7. Al

Al, nella sua schiettezza, si dichiara tutto e subito:

“Io non sono niente di speciale, non sono un genio, ma sono normale, non troppo sveglio, ma non sono neanche troppo scemo e… non ho un gran talento. Ma mi conosci Zach, mostrami che cosa devo fare e te lo faccio preciso per otto spettacoli la settimana, per l’eternità…”

8. Mark

Mark, alla sua prima audizione, è il più giovane e porta con sé l’ingenuità e la spensieratezza del ragazzo degli anni Ottanta. E’ uno dei ruoli più difficili si per l’età che per il compito di iniziare la sequenza di Hello twelve, a cui progressivamente si uniscono coi pensieri gli altri ballerini. La canzone richiama il primo risveglio sessuale e i cambiamenti adolescenziali.

9. Greg

Greg coglie subito la palla al balzo:

“Si dà il caso che il sesso si all’unico argomento di cui possa parlare, senza la benché minima autorità in materia”.

Parla di quando scoprì la sua omosessualità. (Nella pellicola di Attenborough si riduce solo a questo fuggevole accenno la tematica omosessuale che nella pièce teatrale trovava un respiro leggermente più ampio. Per tale motivo il film ha sollevato qualche polemica).

 10. Richie

Richie, ragazzo di colore, trasuda danza da tutti i pori ed è una molla, sempre in tensione, pronta a scattare. Ha un incontenibile energia e una leggerezza che sfida la forza di gravità. Con Surprise, uno dei numeri centrali del film, canta e danza le gioie del sesso. E’ l’unica performance personale che coinvolge tutto il coro, unito in questo modo nell’esprimere l’esperienza dell’amore, esperienza universale e trasversale. Per una maggiore connotazione della situazione cantata, il palco viene illuminato da luci rosse.

Gregg Burge as Richie e il coro in Surprise

 

11 Connie

Connie è asiatica e cerca di far vedere quanto lavori duramente per attirare su di sé l’attenzione di Zach al fine di ottenere la parte. Con lei interagisce Dana Morales.

12. Diana

Diana, portoricana, è una persona molto determinata a volere ciò che è meglio per lei ed è, nello stesso tempo, senza mezze misure: nelle scene che lo richiedono sa fare la dura, ma sa essere anche dolce e amorevole. Nel suo intervento parla del corso di recitazione che seguiva al liceo, ma quando il signor Karp le chiedeva di immedesimarsi nelle situazioni e negli oggetti (a bordo di un bob o essere un tavolo, una macchina sportiva, un cono gelato), lei non sentiva Nothing, assolutamente niente. “Niente può far sospendere dal corso” tuonava il signor Karp e questo la metteva in crisi. Con la canzone Nothing la sua è una delle esibizioni più lunghe.

13. Don

Don si presenta nel contesto sociale come una persona sposata, con due figli, una madre quasi a carico e con un mestiere di cameriere. Ma in realtà non vorrebbe tutto questo, ciò che gli piacerebbe essere nel profondo del suo cuore è una persona libera da legami, piena di soldi e che possa girare tranquillamente il mondo. Questa conflittualità del personaggio emerge dal suo discorso frammentario fatto di frasi tronche lasciate cadere prima di completarne il senso e che testimoniano ora l’una ora l’altra tendenza caratteriale.

14. Val

Val ha ventiquattro anni e, pur avendo un gran talento per la danza, alle audizioni viene sempre scartata. Finché un giorno, dopo un provino, rubò la scheda con le sue valutazioni: le avevano dato Dance Ten, Looks Three! Da allora capì come doveva cambiare.

Tette e culo
Me ne feci un gran bel paio
Mi imbotti il didietro
Mi rifeci anche il naso
E tutto quel che segue
Tette e culo
E fu l’ “Apriti Sesamo”.
A un tratto ottenni lunghe tournèes
Tette e culo
Sono fonte di lavoro
A teatro basta averli.
(…) Con la nuova carrozzeria
la vita è diventata una fantasia musicale
senza fine (…)
Basta uno schizzo di silicone
Scuoti le maracas e sei a posto
Tette e culo ti cambiano la vita
La mia l’hanno cambiata eccome!

Audrey Landers as Val in Dance Ten Looks Three

 

Per Val questo non è un linguaggio volgare, è il suo modo di parlare e lo fa così apertamente che non c’è da vedervi alcuna malizia sessuale.

15. Paul

Paul, interrogato da Zach, dà risposte telegrafiche per cui il regista lo fa rientrare nella fila, dato che non riesce a cavargli fuori un discorso più ampio. Solo in seguito, quando il chorus è giù a provare le combinazioni, Paul cerca il contatto con Zach chiedendogli se sarebbe stato eliminato per non aver parlato. Rassicurato sulla bontà della sua danza, Paul riesce a confidargli le situazioni che lo hanno segnato predisponendolo verso una maggiore sensibilità. Così inizia il monologo della sua vita quando da ragazzino fu assunto come ballerino allo “Scrigno delle perle”, lo show dei travestiti, i quali, più che badare alla danza, guardavano le sue gambe. Nel suo racconto i genitori, inizialmente scioccati dalla sua diversità, trovano comunque le parole per farlo sentire ancora di più loro figlio.

16. Judy

Judy è la ragazza più standard fra tutti quanti. Vuole la parte, ma non si ucciderebbe se non dovesse ottenerla. Così vive questa giornata con molta allegria e senza troppo stress come invece è per gli altri. Il suo momento principale arriva quando deve esplodere in scoppi di risa che suonano come una canzonatura di sé stessa.

17. Cassie

Infine Cassie, ex donna di Zach, non avendo più un contratto da oltre un anno, vuole a tutti i costi fare l’audizione perché ne ha diritto come ogni altro. E’ fortemente decisa, nonostante Zach la scoraggi perché quello non è posto per lei, è instancabile nel danzare, vuole che le si dia questa opportunità. E così canta Let me dance for you (scritta appositamente, insieme a Surprise, per la versione filmica):

Sono una ballerina
Ecco cosa sono
Sono una ballerina
Dammi i passi
Sarò all’altezza
Dammi qualcuno per cui ballare
Dammi un pubblico
Fammi svegliare la mattina scoprendo
Che ho qualche posto eccitante dove andare.

Una volta definiti i caratteri e aver condiviso i vissuti emotivi, il secondo passo per la crescita della consapevolezza del coro è il superamento dell’egocentrismo, inteso non solo come capacità di “comunicare con” e di comprendere gli altri, ma di rinunciare a un interesse personale a favore di un interesse di gruppo.

L’esempio più calzante di questa fase ce lo rende il personaggio di Cassie che, forse per il rapporto confidenziale che ha avuto con Zach e per la sua esperienza professionale, riesce ad esser franca con lui: quando l’ex la chiama giù dal palco per vedere se fare la ballerina di fila dello spettacolo è quello che lei desidera davvero, pur essendo tanto speciale che potrebbe permettersi altro, lei prende le difese di tutti perché ognuno di coloro che sta su quel palco è speciale! Ha rinunciato così al suo egocentrismo per valorizzare gli altri a cui già si sente legata dallo spirito di gruppo.

Precedentemente c’era stato, da parte di Zach, un segnale su cosa lui intendeva per coro. Assistendo infatti alla performance di Cassie, nelle prove corali della combinazione One, l’aveva apostrofata dicendo: “Cassie, non c’è scioltezza nella testa. Devi essere più rigida. Stai ancora dando troppo!” Ecco il segreto del farsi coro: non darsi troppo! La rinuncia del proprio stile personale per una linearità semplice ma di grande impatto è ciò che rende coerente un gruppo, perché a volte la bellezza di una coreografia non sta nel grado di difficoltà, ma nella genialità dell’idea e del suo sviluppo.

Il gruppo si prodiga nel momento della necessità evidenziando una crescita in corso e un impegno sociale inteso come rispetto verso ogni membro. Ciò accade quando Paul, provando la combinazione, scivola e si lussa una gamba.

Un’ulteriore fase è la percezione del gruppo e la posizione di ognuno in esso. Bebe, nell’ultimo momento di verità che segue il soccorso a Paul, si sente naturalmente spinta a rispondere “che giornata” al sospiro di Zach. E’ vero, che giornata, per tutti quanti! Bebe era appena uscita dall’ospedale per guarire da un crollo psicofisico in seguito a un’audizione. Adesso è lì, forse troppo presto per ricominciare, ma anche se non avesse superato l’ultima esibizione lei aveva già vinto. Abdicava, se fosse stato necessario, per un maggior guadagno del gruppo, dimostrando di aver percepito la propria posizione in esso e la crescita della sua forza. I sedici ballerini, anzi diciassette con Cassie, hanno già maturato lo spirito del coro e l’ultima selezione non potrà scalfire questa acquisita consapevolezza.

Verranno scartati Judy, Don, Greg, Sheila, Al, Kristine, Connie, Maggie. Questi personaggi, pur diversi tra loro, sono accomunati da alcuni debolezze che non li rendono perfettamente autonomi e decisi. Quelli che rimangono sono talentuosi, determinati, con uno piccato carattere.

4. Conclusioni

Il coro, in conclusione, non è un organismo amorfo dove si possono nascondere le proprie indecisioni o adagiarle in un letto di inerzia, non può essere la sommatoria delle debolezze di ognuno. E’ invece un’unità dinamica, grintosa che richiede carattere e personalità che gli derivano dalla capacità e dalla maturità dei membri, fortemente definiti, di uscire da sé stessi per incontrare il gruppo di cui si sentono parte inalienabile.
“Sintalità”, in psicologia, come dice Spaltro,

“significa far parte e accettare di essere parte (…) significa essere parte e non un tutto. Significa non poter essere mai eliminati perché parte e quindi, sia pure piccolissima, esistente e fondamentale per l’esistenza d’un gruppo, cioè d’un tutto. Sintalità vuol dire essere con, cioè insieme a tanti e non a uno solo”.⁴

Lo psicodramma che Zach dirige si potenzia al quadrato per la dimensione metalinguistica del plot narrativo. Cioè anche Richard Attenborough, il regista del film, lo utilizza durante la lavorazione come processo che permetta ai componenti di affrontare con sicurezza i propri sentimenti e risvegliare il senso di responsabilità nei confronti del proprio agire, per riconoscere le difficoltà e i punti di forza comuni per esser efficaci come singoli membri o per diventare facilitatori del gruppo.

E finalmente il coro diventerà ‘uno’, un unico corpo, un’unica testa, un organismo autonomo perfettamente sincrono in ogni sua parte e il colpo d’occhio del finale si manifesta su quel proscenio senza vincitori né vinti con

One, singular sensation, in un tripudio di specchi, lustrini, frac e cappelli a cilindro, eccoli tutti i ragazzi e le ragazze che si sono offerti all’impietoso giudizio, riscattati in un glorificante numero finale: tutti assunti in cielo, perdonati e felici. E se il pubblico non avesse capito il senso, ecco i grandi specchi di scena che non solo moltiplicano l’immagine dei ballerini, ma rimandano la sua immagine congiunta con quella degli interpreti”.⁵

A Chorus Line

“ha rivoluzionato il musical, perché davvero, per la prima volta, adopera sullo steso piano il testo, la musica, la coreografia e il personale carisma degli attori che diventano subito amici e nostri complici, portandoci per mano in una visita guidata tra illusioni e delusioni del teatro moltiplicati all’infinito dallo specchio (…) Perché il fascino di questo show appartiene all’eterno della domanda sul bisogno della finzione, quando la curva del teatro incontra, complice un refrain, quello della poesia”.⁶


The chorus in One, singular sensation

 

 


Bibliografia e sitografia

1. Donata Francescato, Anna Putton, Stare meglio insieme, Mondadori, Milano, 1995, p.35
2. Ivi, pp.80-81
3. Eugenio Consonni, Istruzione e direzione del coro, Eco, Monza – Milano, 1975, pp.10-11
4. D. Francescato, G. Ghirelli, Fondamenti di psicologia di comunità, NIS, Roma, 1988, p.77
5. Alvise Sapori in http://www.musical.it/album/chorusline/Chorus_storia.htm
6. Maurizio Porro in http://www.musical.it/album/chorusline/Chorus_storia.htm

PER UNA POETICA DEL CORO IN “A CHORUS LINE” Aggiornato: 2024-01-25T21:45:13+01:00 da luca

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