Un nome di grande rilievo per nello scenario delle scuole di danza contemporanea in Italia è certamente quello di Carolyn Carlson.
Californiana, ma con famiglia di origini nord-europee, la Carlson si è formata attraverso gli anni ’60 grazie ad un incontro fondamentale con Alwin Nikolais, il grande coreografo della modern dance, che la introduce ai propri lavori e le riserverà un ruolo di riguardo per gli anni a venire all’interno dei suoi spettacoli.

L’aggettivo che la stessa Carlson ha usato per definire la sua vita artistica è nomade. E, in effetti, nomadica è l’intera traiettoria dei suoi successi: dalla San Francisco sperimentale e discussa che ben conosciamo, passando per New York e Parigi, al Balletto dell’Opéra, fino ad approdare a Venezia – dove lascia le tracce che qui ci interessano di più – la Carlson si mostra al mondo come un’artista complessa, sempre attenta a ciò che succede al di fuori dei confini conosciuti e disponibile a mettere in gioco le proprie conquiste in nome di un possibile salto di qualità nella ricerca creativa.
Le esperienze italiane hanno giocato un ruolo importantissimo nel definire gli spazi di movimento della danza contemporanea nostrana dagli anni ’80 in avanti: è infatti il periodo della presenza alla Fenice di Venezia a segnare il primo passo verso una interessante carriera nel nostro Paese. Italo Gomez, allora direttore del Teatro La Fenice, la invitò a Venezia per portare per la prima volta in Italia un modello di spettacolo che superasse i confini disciplinari della danza e che offrisse un approccio multiforme: è il Teatrodanza, guidato proprio dalla Carlson e modellato sulle basi di un suo precedente lavoro a Parigini (il GRTOP).
Lo spettacolo che ne nacque, Il Cortile, del 1985, segna dunque un punto di svolta notevole sia per la sua carriera in Italia che per la scena contemporanea in generale.
Alla fine degli anni ’90, invece, la Carlson fa ritorno nella città lagunare con un compito più istituzionale ma non meno significativo: viene infatti designata direttrice della nascente Biennale Danza, per l’intero primo quadriennio. Nel 1999 il primo passo è segnato dall’istituzione dell’Accademia Isola Danza, che per quattro anni si occuperà della formazione di nuovi talenti della danza contemporanea: i giovani ballerini che vi prendono parte sono attivi in interventi coreutici dirette dalla Carlson e offerti tanto a Venezia quanto in alcune delle principali città italiane.
Quella della Carlson è una poetica orientata fortemente al misticismo: nei suoi lavori segue una via fortemente connotata dalla filosofia Zen, in cui maschile e femminile si incontrano in una lotta che è anche costruzione. È quella che lei definisce una “poesia visuale”, in cui i passi dei danzatori si adattano all’esigenza estetica e allo spazio scenico, e non viceversa.
La coreografa americana ha creato durante la sua vita artistica più di cento pièces, di cui una buona parte possono essere ritenute, a pieno titolo, come pagine importanti della storia della danza: Density 21,5, The Year of the horse, Blue Lady, Steppe, Maa e Signes. La sua visione poetica viene infine coronata e riconosciuta davanti al pubblico mondiale con il primo Leone d’Oro che la Biennale abbia attribuito ad una coreografa, nel 2006.