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Il teatro canzone da Edith Piaf a Giorgio Gaber – 2° parte

Segue da Il teatro canzone da Edith Piaf a Giorgio Gaber – 1° parte

Giorgio Gaber avvia la sua carriera proprio in questo scenario, collaborando con i più grandi artisti che avevano aderito già da tempo alla nuova corrente. Il primo gruppo prende il nome di Rocky Mountains Old Times Stompers e vede Jannacci al pianoforte, Gaber e Reverberi alla chitarra e Luigi Tenco e Paolo Tomelleri al sax. L’ispirazione, a partire dal nome della band, è chiaramente americana e sembra trovare anche un discreto appoggio da parte del pubblico.

enzo jannacci

Poco tempo più tardi, infatti, Gaber viene notato dal direttore artistico della Ricordi, capostipite della discografia italiana, che lo ingaggia per registrare un album da solista, che contiene uno dei primi brani rock and roll della storia della musica nazionale, “Ciao ti dirò”.

La carriera da solista dura poco, e Gaber decide di esibirsi insieme all’amico Jannacci nel duo “I Due Corsari”, a partire dal 1959. Il testo e la partitura dei brani vengono registrati alla SIAE con il nome di Giorgio Gaber, che comincia così ad affermarsi nel panorama dei più grandi parolieri italiani.
Negli anni successivi Gaber approda anche in televisione, partecipando a numerosi spettacoli, compreso il Festival di Sanremo, dove accede per ben quattro volte. Siamo negli anni Sessanta, e nascono proprio in questo periodo alcuni brani ironici e divertenti, come l’indimenticabile “Torpedo blu” e “Come è bella la città”, ancora oggi molto apprezzate dal pubblico italiano.

A partire dagli anni Settanta, con l’avvento della grande rivoluzione sociale e culturale di tutto il mondo, l’irriverenza di Giorgio Gaber può finalmente esplodere, trasferendosi dagli studi televisivi ai palcoscenici dei teatri italiani.

giorgio gaber

Questo passaggio viene spiegato dalle parole dello stesso artista, che si esprime in questo modo: “fare televisione era diventato dequalificante. Mi nauseava un po’ una certa formula, mi stavano strette le sue limitazioni di censura, di linguaggio, di espressività, e allora mi dissi, d’accordo, ho fatto questo lavoro e ho avuto successo, ma ora a questo successo vorrei porre delle condizioni.” [G. Harari, “Giorgio Gaber”, Rockstar, gennaio 1993]

È così che Giorgio Gaber, cantante e presentatore, si spoglia del suo ruolo per vestire i panni del “Signor G”, un artista completamente rinnovato nelle sue scelte musicali, che decide di rappresentare solo a teatro. Da questa decisione viene quindi coniato il termine di “teatro canzone”, che tuttavia va ben oltre il semplice concetto di cantare sul palcoscenico di un teatro.

Il teatro, infatti, da sempre ha rappresentato un’alternativa al mondo della televisione, ristretto e restrittivo nei tempi e nella libertà di espressione degli artisti. Solo in questo modo Gaber può finalmente riuscire ad esporre al pubblico i suoi pensieri in totale libertà, senza temere censure, cantando come ha sempre fatto, ma con la possibilità di arricchire la propria musica di monologhi e discorsi, spiegando a parole quello che non si può definire con una canzone.
Il primo esperimento del teatro canzone risale al 1969, quando Gaber lancia una versione più ammorbidita delle sue intenzioni future, insieme ad un’altra grande artista della musica italiana, Mina, con una lunga tournée in giro per il Paese.

Dopo una serie di spettacoli da solista, piuttosto insoddisfacenti rispetto ai grandi numeri ottenuti con la Tigre di Cremona, Gaber trova la sua strada in seguito alla collaborazione con l’amico Sandro Luporini. I due cominciano a scrivere insieme i testi, dando vita così agli indimenticabili spettacoli di cui ancora oggi si parla tanto, partendo da “Storie vecchie e nuove del signor G”, fino ad arrivare a “Polli d’allevamento” (1978).

Un’altra importante forma di teatro canzone è rappresentata anche dal brano “Io se fossi Dio” (1980), in cui Gaber esprime il proprio pensiero riguardo alla scena politica di allora, per ben 14 minuti.

Il merito più grande del teatro canzone di Giorgio Gaber, così come di Edith Piaf, seppure all’interno di un contesto più personale, è stato sicuramente quello di riuscire a portare in scena qualcosa di completamento diverso rispetto alla tradizione precedente. Lo spettatore, una volta che si siede sulla sua poltrona, può vivere le emozioni dell’artista e condividere la sua ideologia, senza doversi necessariamente annoiare. La musica arricchisce e smorza i toni troppo complessi di un monologo sulla politica, per esempio, rendendo persino più semplice l’approccio.

Al tempo stesso, l’artista può chiarire, qualora lo volesse, o ampliare il significato delle proprie canzoni, cercando di arrivare con una maggiore intensità al cuore del pubblico.

Il teatro canzone da Edith Piaf a Giorgio Gaber – 2° parte Aggiornato: 2022-11-22T17:29:08+01:00 da luca

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