Si tratta probabilmente di uno dei film più costosi, ma meglio riusciti, della storia del cinema indiano e di Bollywood: C’era una volta in India racconta la storia del villaggio indiano Champaner, afflitto da siccità e dominato dal colonialismo britannico, alla fine del XIX secolo. Dopo aver trascorso mesi senza aver visto una goccia di pioggia, gli abitanti del villaggio preoccupati decidono di chiedere alle autorità locali l’abrogazione temporanea delle loro tasse – chiamato Lagaan, odiato e detestato da tutti.
Guidati dall’eroico Bhuvan (impersonato dal divo indiano Aamir Khan) portano le loro condizioni e le richieste di fronte al governatore militare, il capitano Russell (Paul Blackthorne). Ma questi, sadico e rancoroso, minaccia di triplicare il Lagaan, a meno che gli abitanti del villaggio non riescano a battere i suoi uomini in una partita di cricket: in questo caso sospenderà le tasse su tutta la provincia per un periodo di tre anni. Bhuvan naturalmente accetta la sfida, ma c’è un problema: nessuno a Champaner sa giocare a cricket e per risolvere la cosa entra in gioco un incredibile banda di personaggi che rivoluziona le aspettative di tutti.
Si tratta di una pellicola molto lunga, un vero kolossal di marchio indiano, che in qualche modo prende a riferimento il conosciutissimo C’era una volta in America di Sergio Leone.
Il film però va segnalato anche per le eccezionali scene di danza che, ancora più che in altre produzioni di Bollywood, lo mettono in rilievo.
In tutti i film di Bollywood, infatti, ci devono essere le canzoni, moltissime canzoni. In combinazione con la danza; moltissima danza. Questi elementi sono combinati fra di loro in modo quasi imprevedibile e spesso compaiono senza che vi sia una logica reale, che non apporta nulla alla narrazione.
Anche se comunque l’incredibile complessità delle scene di danza – piaccia o non piaccia il genere – non può lasciare indifferenti, nonostante le incongruenze che comportano: nei momenti di canto e ballo, o addirittura all’interno della stessa canzone, la coppia di ballerini potrebbe cambiare vestito o persino cambiare location. E il motivo è una pura scelta estetica, per dare al pubblico il piacere di evasione mentre apprezzano le coreografie complicatissime che il film mette in mostra.
Lagaan segue alla perfezione la formula di Bollywood in molte parti, ma allo stesso tempo si discosta da essa in modo significativo. In particolare, i momenti di canto e danza ci sono e sono estremamente complessi, ma sono molti meno della media dei normali film di queste produzioni e molto curati. Se ne contano sei principali, che intercalati come sono nella narrazione non creano cesure forti e risultano davvero godibili. Uno dei più belli è l’ultimo brano, un canto devozionale degli abitanti del villaggio, prima della partita conclusiva, accompagnato da un ballo intimo e fastoso allo stesso tempo. Un momento straordinariamente bello e molto commovente.