Spesso le vite degli uomini che hanno contribuito alla storia della cultura e della scienza, rendendone il nome un vero e proprio simbolo, nascondono purtroppo una realtà molto diversa dalla gloria e dal fasto che ci si potrebbe aspettare.
Il caso di Vaslav Nijinsky, unanimemente riconosciuto come il più grande danzatore e coreografo russo, non fa eccezione: una serie di difficoltà, sommata ad una lenta e pesante malattia psichiatrica, interruppe tristemente la sua carriera all’apice del successo, fino a costargli la vita.
Nijinsky nacque a Kiev nel 1889 da genitori di origini polacche, entrambi ballerini, che gli insegnarono i rudimenti della danza e contribuirono alla sua formazione primaria in questo campo. All’età di undici anni entrò nella Scuola Imperiale di Balletto, dove dopo un solo anno si distinse agli occhi dei suoi insegnanti come un caso eccezionale di talento artistico; fu questo talento, tra l’altro, ad evitargli l’espulsione dalla scuola a causa del suo carattere difficile nei confronti degli insegnamenti che non gradiva. Gli anni di studio dimostrarono, in ogni caso, la potenzialità del suo talento: si diplomò nel 1907 con i più alti gradi in danza, arte e musica.
Iniziò a danzare professionalmente nel settembre dello stesso anno e rapidamente si vide attribuire ruoli da solista.
Il punto di svolta nella sua carriera – e nella sua vita – fu però l’incontro con l’impresario Sergej Diagilev che lo volle, nel 1909, nei propri Balletti Russi. Grazie al successo dei Balletti Russi, che per il pubblico occidentale rappresentavano qualcosa di nuovo e straordinariamente creativo, contribuì in modo importante alla diffusione del suo nome fra gli amanti della danza e dell’opera. A Parigi, dove ebbe prima sede la compagnia – e dove Nijinsky e Diagilev ufficializzarono la loro relazione – le sessioni degli spettacoli crearono un grande scalpore, sia sul piano artistico che sociale. Il danzatore russo conquistava gli occhi del pubblico per merito di una “grazia innaturale”, una tecnica perfetta ed i suoi agili salti, caratteristiche che lo avrebbero connotato durante tutta la carriera.
Iniziò anche a scrivere coreografie proprie: in particolare si ricordano L’après-midi d’un Faune, che suscitò forte scandalo, e la Sagra della primavera, musicata da Stravinsky. Le sue coreografie, come ci si può aspettare, superavano i limiti del balletto classico e presentavano i primi lineamenti della danza moderna.
Nel 1913 avvengono però alcuni importanti cambiamenti nella vita di Nijinsky. La compagnia dei Balletti Russi parte per il Sud America senza Diagilev, che temeva i viaggi oceanici. In quest’occasione il danzatore decide di sposarsi con una sua fervente ammiratrice, la contessa Romola de Pulszky: probabilmente una maniera con cui egli desiderava liberarsi dalla dipendenza materiale dal proprio impresario. Naturalmente al suo ritorno in Europa Diagilev, geloso, reagì duramente a questa notizia e lo allontanò dai Balletti Russi.
Nijinsky tentò di lavorare a nuove coreografie, ma l’insorgere della guerra sconvolse la sua vita: fu internato in Ungheria e solo grazie ad un’intercessione di Diagilev riuscì a espatriare negli Stati Uniti, col pretesto di una tournée, nel 1916.
In questo periodo iniziarono anche a manifestarsi, purtroppo, i primi segni di demenza, che gli impedirono rapidamente di danzare. Si dice che durante la sua ultima apparizione sul palco, a Montevideo, il pianista Arthur Rubenstein pianse vedendo la gravità della confusione mentale in cui versava Nijinsky: lo stress e la malattia lo portarono, nel 1919, ad una pesante crisi nervosa. Gli venne allora diagnosticata una grave forma di schizofrenia, che di fatto gli impedì di danzare per tutto il resto della sua vita, che passò invece entrando e uscendo in continuazione da molti ospedali psichiatrici.
Morì a Londra nel 1950.