Usati a volte come sinonimi, danza e ballo nascondono tuttavia delle differenze. Partendo dall’etimologia, la parola “danzare” compare nel XIII secolo utilizzata dal poeta siciliano Rinaldo D’Aquino che, operante nella grande fucina culturale che era la corte di Federico II di Svevia, aveva acquisito cognizioni della lirica provenzale da cui il termine dancier, poi danser in francese. A sua volta la parola francese la si può far risalire al dintjan del dialetto francone, che vuol dire “muoversi di qua e di là”. Un’altra origine etimologica è quella latina che riprende il verbo abantiare, “venire avanti”.

Il lemma “ballare” invece lo si riscontra nella Divina Commedia, dove Dante, essendo padre e sperimentatore della lingua italiana, lo ricava dal sostantivo volgare bailatores. Non è esclusa comunque la derivazione dal greco ballìzen. “tripudiare”, e bàllein, che si richiama a pΰllein col significato di “lanciare, scuotere”.
Nella Magna Grecia intanto si era diffusa la forma ballμzen con l’accezione di “danzare nei riti orgiastici”, probabilmente da ricollegare al termine greco phΰllos, “fallo”, simbolo centrale delle feste dionisiache dove le danze erano elementi liberatori essenziali.
Già questa prima veloce panoramica sull’etimo contribuisce a chiarire le differenze semantiche che nel tempo i due termini hanno accentuato. Infatti, nel “venire avanti”, nel “muoversi di qua e di là”, la danza sottende a un criterio di ordine e premeditazione, c’è la volontà di organizzare il movimento del corpo a tal punto da farlo diventare linguaggio, comunicazione, spiritualità, estetica, arte. La danza è quindi forma d’arte del corpo che impara a conoscere se stesso e interagisce con lo spazio, l’aria, la musica, la gravità in base a un ritmo dato e secondo figure prestabilite.
La danza, voce del nobile linguaggio, è patrimonio comune dell’umanità, virata per ogni civiltà nel tempo e nello spazio: la danza è stata primitiva, egiziana, orientale, è stata una delle componenti dell’orchestica greca (insieme alla musica e alla poesia lirica), è stata etrusco-romana con la variante della saltatio, e ancora medievale, cortese, francese, inglese, tedesca, slava, magiara, balcanica. La sua evoluzione concettuale e contenutistica si definisce nel ‘Seicento formalizzandosi in “danza accademica” secondo la codificazione della tecnica e delle figure ad opera dei maestri dell’Académie royale de danse, fondata a Parigi dal re Luigi XIV di Francia nel 1661, con l’intento di fissare e sviluppare i principi fondamentali dell’arte coreografica.
E’ naturale, comunque, che la danza contempli anche l’improvvisazione, ma questa non è altro che il risultato delle regole al servizio della creatività.
E riprendendo ancora l’excursus etimologico, il ballo sembra essere nato più da “scuotimenti” del corpo che da leggiadria, come a voler liberare l’istinto dalle costrizioni mentali, tanto che diventa il termine specifico per i baccanali, dove la trasgressione si trasforma in liceità sessuale. Per estensione quindi il ballo ha più a che fare con l’ebbrezza, il caos, il piacere di sentirsi in sintonia col proprio corpo, senza che abbia necessariamente una finalità rappresentativa. Il ballo così tende ad essere un’esperienza fisica e può essere del singolo, ma anche di coppia (dove il contatto con l’altro diventa empatia, corporeità, complementarietà), nelle versioni da sala, liscio, latino-caraibico, oppure folkloristico e di gruppo, in cui circola energia, gioia, divertimento, senso di festa.
